C’è un Egitto fatto di tesori inestimabili e di costruzioni talmente complesse e perfette da lasciare pensare che in questo tratto di mondo sia vissuta qualche civiltà con capacità superiori. C’è poi una terra in subbuglio da tempo ed ora in esplosione. I cittadini vogliono una vita diversa e il cambiamento è nell’aria da più di un anno. In una zona comunque difficile, però, la guerriglia è ripresa e i turisti tornano ad avere paura, anche perchè nelle scorse ore ci sono state almeno 22 vittime accertate. La tensione è al limite, al Cairo e soprattutto in piazza Tahrir, dove sono in particolare i più giovani a lottare con la polizia in assetto anti-sommossa. Gli agenti, dal canto loro, hanno deciso di sparare i gas lacrimogeni per disperdere la folla, ma quest’ultima non si è certo arresa ed ha iniziato a lanciare pietre. Terzo giorno di forti proteste e il governo pensa a come agire. Nelle ultime settimane la crisi di un anno di silenzio è venuta fuori forse per il “fallimento del Consiglio supremo delle Forze armate nel gestire la fase di transizione” come confermano i dimostranti sul posto. Ad incitare alla lotta pure il predicatore salafita egiziano e candidato alla presidenza Hazem Abu Ismail il quale ha chiesto ai suoi sostenitori di partecipare alle proteste di piazza Tahrir.
Questo infatti servirà a “raggiungere gli obiettivi della Rivoluzione di gennaio”. Troppe le vittime e qualcuno parla di un numero ancora superiore, purtroppo destinato a salire. Ecco che arriva tra l’altro la conferma che quasi tutte sono state uccise con colpi d’arma da fuoco. A ribadirlo, è stato pure il sottosegretario alla Sanità Hesham Shiha, il quale ha accettato di lasciarsi intervistare dai giornalisti di una delle reti della tv satellitare Al Jazeera. Le prossime ore, in questo senso, saranno decisive ma si spera che per l’Egitto non sia l’ora della guerra civile.