In un’epoca in cui non sono ancora consentiti viaggi di piacere al di fuori della propria regione, approfittiamo del JFF PLUS per visitare virtualmente il Giappone curiosando tra le location di alcuni film in programma.
Iniziamo il tour partendo da Sud, dall’isola del Kyushu, una delle maggiori quattro del’arcipeago, e in particolare dalla città di Nagasaki, località purtroppo nota per il bombardamento atomico subìto durante la Seconda guerra mondiale il 9 agosto del 1945. Dalla città portuale di Nagasaki proviene Yonosuke Yokomichi, il giovane studente di buon cuore e dai modi garbati protagonista del film A Story of Yonosuke(2013) di Okita Shuichi.
Prima di essere nota in Occidente per il rovinoso lancio dell’atomica e associata a Hiroshima per lo stesso destino, Nagasaki ha avuto gli onori delle cronache nel nostro continente per l’importante ruolo che ebbe nei commerci con l’Occidente fin dal XVI secolo. I primi a giungervi furono i Portoghesi nel 1545, poi fu la volta dei missionari spagnoli sulle orme di Francesco Saverio approdato nel 1549 a Kagoshima (sempre nell’isola maggiore del Kyushu) e infine degli Olandesi che tra il XVII e il XIX secolo – quando in Giappone iniziarono le persecuzioni dei cristiani e il cristianesimo stesso fu bandito con l’editto di Toyotomi Hideyoshi nel 1587 – furono gli unici mercanti occidentali autorizzati ad accedere a Nagasaki, seppur relegati nell’isoletta artificiale di Deshima, dove costruirono le proprie residenze in stile occidentale, regalando alla città un’atmosfera esotica.
Ancora oggi tra i luoghi turistici della città, oltre al Parco della Pace e al Museo della bomba atomica che rendono omaggio alle vittime della bomba e gridano pace al mondo, si annoverano il quartiere di Deshima e il giardino di Glover con edifici in stile europeo, la Basilica di Oura (edificio più vecchio del Giappone e tesoro nazionale), il Museo e il monumento del 26 martiri di Nagasaki, il quartiere cinese e Il tempio di Confucio, vestigia di un passato unico nella storia del Giappone in un periodo in cui il paese si chiuse in una rigida politica isolazionista.
E ancora nel Kyushu è ambientato il documentario Tora-san in Goto (2016) di Oura Masaru, un paziente lavoro iniziato nel 1993 e durato 22 anni per raccontare la storia di una grande famiglia di produttori di udon (spaghetti di grano tenero) che vive in una delle splendide isole dell’arcipelago di Goto, dalle spiagge mozzafiato e dalle notevoli risorse ittiche. Il titolo del documentario prende il nome dal capofamiglia, Inuzuka Torao, conosciuto col nome di Tora-san, padre di 7 figli che ogni mattina si alzano alle 5 per occuparsi per un’ora dell’attività produttiva di famiglia e poi andare a scuola. Il regista Oura segue la crescita dei bambini fino all’età adulta, ne documenta il lavoro, le attitudini, lo spirito di collaborazione ma anche le legittime ribellioni contro la severità e i modi un po’ troppo autoritari di un padre che in cuor suo vuol solo insegnare loro ad apprezzare le risorse della propria terra e preservare l’attività artigianale della famiglia.
Situato nel Mar Cinese Orientale, l’arcipelago di Goto comprende oltre 100 isole che fanno parte del Parco Nazionale di Sakai e dove sorgono varie chiese cattoliche; tra le attrazioni turistiche le barriere coralline di Rojoima e il faro di Osazaeki. Tra le prelibatezze delle isole di Goto il kibinago, una aringa rotonda con squame a righe argentate.
Con la commedia musicale Lady Maiko (2014) di Suo Masayuki giungiamo nella raffinata Kyoto, antica capitale del Giappone dal 794 al 1185 con il nome di Heian-kyo, – capitale della pace e della tranquillità – culla delle arti e delle lettere fiorite attorno alla corte imperiale dove si forgiarono i concetti estetici di wabi (sobria, austera bellezza), sabi (rustica patina lasciata da tempo), yugen (profondità misteriosa) declinati nella poesia, nell’architettura, nei manufatti, nelle prime opere letterarie di cortigiane e anche nelle produzioni scritte di monaci che scelsero la vita eremitica.
A Kyoto si respira un’atmosfera unica di storia e tradizione: oltre alla splendida Villa Imperiale Katsura, santuari e templi sono disseminati in ogni angolo della città: Kinkakuji (Padiglione d’Oro), Kiyomizudera, il tempio zen Ryoanji con il suo giardino di sabbia e rocce, e ancora la foresta di Arashiyama a ovest della città, luogo ideale per apprezzare la natura in ogni stagione, ma in particolare i fiori di ciliegio in primavera e il rosso delle foglie d’acero in autunno.
C’è poi il famoso quartiere di Gion, il cuore della vita e dell’attività delle geisha, con le storiche case da tè, alcune delle quali oggi trasformate in lussuosi bar o ristoranti. Ma diventare una geisha non è affatto un percorso facile: ci vogliono molti anni di studio e disciplina nelle arti tradizionali della danza, musica, poesia, un accento che sia quello di Kyoto (Kyoto-ben), “gentile come una brezza sussurrante” e un lungo apprendistato che passa attraverso il ruolo di maiko, lo step precedente quello di geisha.
E così il film Lady Maiko ci porta a Shimohachiken, un’antico quartiere di Kyoto dove vige ancora il detto che ogni sobborgo della città deve avere la sua maiko: eccoci allora a seguire il percorso formativo di un’aspirante maiko un po’ maldestra e assai poco raffinata, con una spiccata inflessione dialettale curiosamente mista di accenti sia del nord sia del sud del Giappone. Non sarà facile per lei farsi accettare come apprendista, ma come in ogni favola musicale un modo ci sarà…
Altra tappa del nostro viaggio lungo l’arcipelago giapponese, risalendo verso Nord è quella che ci offre il film Railways (2010) di Nishikori Yoshinari, ambientato nella prefettura di Shimane, nella parte centro occidentale dell’isola maggiore dello Honshu, a nord di Hiroshima e prospiciente il Mar del Giappone. E l’idea del viaggio è ancora più presente perché la protagonista assoluta del film è la piccola linea ferroviaria privata Ichibata Electric Railways, che collega le cittadine costiere di Izumo – famosa per il santuario shintoista Izumo Taisha, uno dei più antichi del paese – e Matsue sede di uno storico castello ben conservato. Un film per tutti gli otaku dei treni giapponesi, tra i più precisi e affidabili del mondo, con un omaggio al modello di treno Dehani 50 in funzione dal 1928.
Come in molti film degli ultimi decenni si racconta un controesodo dalla megalopoli di Tokyo – dove dal dopoguerra in poi si sono riversate frotte di cittadini provenienti dalle province più periferiche del paese per motivi di studio e lavoro – ai luoghi di origine. Questa volta il protagonista è Hajime, un benestante colletto bianco completamente assorbito dagli impegni in azienda da non avere mai tempo per moglie e figlia; da piccolo sognava di guidare un treno della linea Ichibata e quel sogno improvvisamente si riaffaccia nella sua vita e …sarebbe un peccato non tentare di realizzarlo.
La Prefettura di Shimane ci viene mostrata nel film attraverso scorci panoramici lungo la tratta ferroviaria che costeggia il Mar del Giappone, dove prevalgono i toni verde della vegetazione e azzurri del mare, solcati da un segmento di ferro color arancio fuoco o giallo che con la giusta andatura (ben diversa dai treni proiettile che transitano per la capitale) solca i binari collegando luoghi e persone. In questa Prefettura sorgono diverse cittadine termali e tra i luoghi da visitare anche l’antica miniera d’argento di Iwami Ginzan, che un tempo forniva circa un terzo dell’argento mondiale. Tra le arti tradizionali originarie della zona, la danza kagura, nata come rituale shintoista, mentre tra le specialità gastronomiche gli Izumo-soba (noodles di grano saraceno) e le pregiate qualità di tè verde usati anche per la produzione di matcha.
Nella Tokyo tentacolare, non città ma megalopoli, sono ambientati diversi film in programma al JFF Plus. La capitale giapponese è ‘location-genica’ perché ha mille volti, una intensa vita notturna con intrattenimenti e ristoro h24, vicoli fermi nel tempo a pochi passi da quartieri supertecnologici santuari e templi dove si perpetuano riti millenari accanto a edifici futuristici e architetture libere di osare e proporre soluzioni abitative eccentriche e innovative, bagni pubblici trasparenti che durante l’uso si opacizzano, caffetterie a tema, tra cui i neko cafè dove si può sorseggiare un caffè in compagnia dei propri gatti e amici a quattro zampe, karaoke, ristoranti di ogni tipo, love hotel, stazioni sotterranee organizzate come e vere e proprie città con tutti i servizi possibili; per strada si incontrano eleganti donne in kimono, businessman in giacca e cravatta, lolita e gothic girls, otaku, punk, cosplayer, autisti di taxi con guanti bianchi, yakuza e preti buddhisti con la ciotola per l’elemosina.
Nella Tokyo tanto amata dal regista Ozu Yasujiro (1903-1963) è ambientato il suo film The Flavour of Green Tea Over Rice (1952), ma anche il recentissimo Dance with Me (2019) di Yaguchi Shinobu, Tremble All You Want (2017) di Ohku Akiko, parte del film A Story of Yonosuke che racconta proprio del giovane che da Nagasaki si trasferisce nella capitale per frequentare l’università. Ma forse è il documentario Tsukiji Wonderland (2016) di Endo Naotaro a farci entrare nella Tokyo che più vorremmo conoscere, quella vera e produttiva, non frutto della finzione cinematografica: il documentario ci porta nel cuore del mercato ittico più grande del mondo, a Tsukiji inaugurato nel 1935 e attivo fino al 2018 quando si deciso di trasferirlo nella più moderna e funzionale sede di Toyosu, affacciata sulla baia di Tokyo. Il regista ci mostra ogni dettaglio della frenetica e organizzatissima attività legata alla vendita e alla lavorazione del pesce, tra gli alimenti cardine della gastronomia giapponese: dalle famose aste dei tonni che iniziano all’alba, alla preparazione di tutti i tipi di pescato, oltre 700 tipi, che riforniscono i ristoranti della capitale, e non solo. Una piccola città nella città che dà lavoro a oltre 60.000 addetti tra pescatori, commercianti, braccianti, ristoratori molti dei quali intervistati da Endo e felici di raccontare con quanto zelo e professionalità ogni giorno si dedicano a quel lavoro per la soddisfazione di offrire ai clienti prodotti eccellenti che hanno reso la cucina giapponese tra le più sane e pregiate del mondo, tanto da meritare nel 2013 il riconoscimento di Patrimonio Mondiale dell’Umanità.
Saliamo ancora più a Nord e con il film Little Nigts, Little Love (2019) di Imaizumi Rikiya arrivamo nella regione del Tohoku (situata sempre nell’isola maggiore dello Honshu), in particolare nella cittadina di Sendai, fondata nel 1600 dal daimyo (signore feudale) Date Masamune e soprannominata “città degli alberi” per via dei 60 esemplari di piante zelkova allineate lungo due vie centrali della città. Con una popolazione di circa 1 milione di abitanti e sede di una tra le più importanti università imperiali del Giappone, è nota nel nostro Paese per aver ospitato il ritiro (nell’albergo stile inglese di Royal Park) della Nazionale di Calcio Italiana guidata da Trapattoni durante i campionati mondiali di calcio disputati in Giappone-Corea nel 2002. Da vedere il mausoleo di Date Masamune, edifico storico riccamente intarsiato e decorato, la splendida mediateca in vetro realizzata su progetto dell’archistar Ito Toyo, rimasta intatta durante il catastrofico terremoto-tsunami che ha interessato il territorio del Tohoku nel 2011, quel che rimane del castello di Aoba, e il moderno grattacielo SS30 con vista spettacolare sulla città.
Sarebbe bello sapere se Ecotherapy – Getaway Holiday (2014) di Okita Shuichi sia stato effettivamente girato nel bosco limitrofo le Cascate di Fukuroda, prefettura di Ibaraki, citate nei dialoghi del film e raggiungibili da Tokyo per una comoda escursione da fare in giornata. Situate nei pressi della città di Daigo queste cascate nel 1990 sono entrate a far parte delle Taki Hyaku-sen, le 100 cascate più belle del Giappone. Ma se anche fosse un meno famoso o anonimo bosco autunnale in prossimità di una cascata (taki) che dà il titolo al film (nell’originale giapponese Taki wo mini iku, significa alla lettera ‘andare a vedere una cascata’), le immagini mostrano la rigogliosa natura di questo splendido arcipelago in una delle stagioni più belle da vivere in Giappone, l’autunno, con lo spettacolo del foliage offerto dalle rosse foglie d’acero (koyo o momiji) cantato da poeti, ritratto da artisti con la stessa intensità espressiva dei fiori di ciliegio in primavera e con la stessa allusione alla transitorietà del mondo (mono no aware), altro principio estetico che ha ispirato la cultura giapponese classica, ben espresso nell’incipit dello Heike monogatari (Il racconto del Clan Heike), una cronaca militare scritta da anonimo a metà del XIII sec. che recita così:
Il rintocco delle campane del tempio di Gion riecheggia l’impermanenza di tutte le cose.
Il colore dei fiori di sālarivela la verità che ciò che prospera è destinato a cadere.
I violenti non dureranno, simili al sogno di una notte di primavera.
Anche i potenti alla fine cadranno, come polvere di fronte al vento.
(The Tale of Heike, by Helen Craig, McCullough, Stanford University Press, Stanford, 1988)
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