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Il tempio dell’Awabi, tradizioni giapponesi

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Prima di essere un luogo ferito aspramente da un terremoto, il Giappone è certamente quel posto dove in primavera i ciliegi in fiore rendono lo sfondo magico, dove i monumenti e l’architettura locale presentano dei tratti totalmente diversi dai nostri e dove le tradizioni sono uniche. Persino le leggende sono particolari ed hanno sempre un fondo di verità alquanto educativo. Ecco ad esempio l’interessante storia de “Il tempio di Awabi”.

 

Nella provincia di Noto c’è un piccolo villaggio di pescatori di nome Nanao. Si trova all’estremità settentrionale della parte continentale. Di fronte ad esso e fino a raggiungere la costa della Corea o della Siberia non c’è nulla, tranne piccole isole rocciose come ce ne sono dovunque in Giappone e circondano come una frangia la terra del Giappone vero e proprio.
Nanao è abitata da non più di cinquecento anime. Molti anni or sono il luogo fu devastato da un terremoto e da una terribile tempesta, che insieme distrussero quasi l’intero villaggio e uccisero la metà della popolazione.
La mattina successiva a questi terribili eventi la situazione geografica apparve cambiata. Di fronte a Nanao, a circa due miglia dalla terra, era sorta un’isola rocciosa di circa un miglio di circonferenza. Il mare era torbido e giallo. La gente sopravvissuta era così turbata e spaventata, che nessuno osò uscire in barca per quasi un mese, tanto più che la maggior parte delle barche era stata distrutta. Essendo giapponesi, prendevano le cose con filosofia. Ognuno aiutava qualcun altro, e nell’arco di un mese il villaggio aveva un aspetto migliore di prima: più piccolo e meno popolato, forse, ma in grado di gestirsi da solo senza bisogno del mondo esterno. Tutti i villaggi vicini avevano sofferto molto allo stesso modo e alla maniera delle formiche avevano rimesso le cose al loro posto.
I pescatori di Nanao concordarono che avrebbero fatto tutti insieme la loro prima spedizione di pesca, due giorni prima del “Bon”. Per prima cosa sarebbero andati a esplorare la nuova isola, poi avrebbero proseguito in mare aperto per qualche miglio per vedere se sul fondale che preferivano c’erano ancora abbastanza pesci tai.
Sarebbe stato un giorno molto interessante, e i villaggi sparsi per una cinquantina di miglia di costa avevano deciso di affrontare questa avventura tutti insieme, ciascun villaggio naturalmente cercando il proprio fondale, ma partendo tutti in una volta con l’intenzione di riferirsi a vicenda al ritorno come stavano le cose per quanto riguardava i pesci, perché l’assistenza reciproca è una delle più forti caratteristiche dei giapponesi, quando un problema incombe su di loro.
Al momento stabilito, due giorni prima della festa, i pescatori partirono da Nanao. C’erano trenta barche. Per prima cosa fecero un sopralluogo sulla nuova isola, che si dimostro non essere altro che un grande scoglio. C’erano molti pesci di scoglio come ad esempio labri e branzini, ma oltre a questo non c’era niente di notevole. Non c’era tempo per raccogliere molluschi sulla superficie dell’isola, e c’erano anche poche alghe commestibili. Così le trenta barche si allontanarono in mare per scoprire cos’era successo ai loro vecchi e ottimi fondali di tai.
Notarono che producevano all’incirca quanto producevano nei giorni precedenti il terremoto, ma i pescatori non ebbero la possibilità di fermarsi abbastanza per accertarsene con sicurezza. Avevano pensato di star via tutta la notte, ma quando si fece sera, l’aspetto del cielo prometteva tempesta: così levarono le ancore e si diressero verso casa.
Non appena arrivarono vicino alla nuova isola, furono sorpresi nel vedere, da un lato di essa, l’acqua illuminata da una strana luce per un’ampiezza di un centinaio di metri quadrati. La luce sembrava provenire dal fondo del mare e, malgrado l’oscurità, l’acqua era trasparente. I pescatori, molto meravigliati, si fermarono per guardare giù nell’acqua. Potevano vedere pesci nuotare a migliaia, ma la profondità era troppo grande perché potessero vedere il fondo, e così diedero libero sfogo a ogni genere di idea superstiziosa su quale fosse la causa di quella luce e si misero a discuterne da una barca all’altra. Qualche minuto dopo avevano tirato in barca i loro enormi remi e tutto era silenzioso. Poi udirono dei rumori rombanti sul fondo del mare e ne furono molto spaventati: temevano un’altra eruzione. 
Rimisero i remi in mare, e dire che se ne andarono in fretta non renderebbe l’idea della velocità con cui le loro barche percorsero le due miglia che separavano la terraferma dall’isola.
Raggiunsero le loro case un bel po’ prima dell’arrivo della tempesta, che infuriò per due interi giorni impedendo ai pescatori di lasciare la spiaggia.
Quando il terzo giorno il mare si calmò e i paesani guardarono in mare, si presentò un nuovo motivo di sbalordimento. Vicino all’isola rocciosa c’erano raggi che si proiettavano verso il cielo e sembravano provenire da un sole che si trovava in fondo al mare. Tutto il villaggio si radunò sulla spiaggia per vedere quello spettacolo straordinario, di cui si discusse fino a tarda notte. Nemmeno l’anziano sacerdote poté far luce sulla questione. Perciò i pescatori avevano sempre più paura e pochi di loro erano disposti ad avventurarsi in mare il giorno seguente; benché fosse il periodo dello splendido sawara (maccarello reale), solo una barca lasciò la riva, era quella di mastro Kansuke, un pescatore di circa cinquant’anni che, con il figlio Matakichi, un ragazzo di diciotto anni molto fedele al padre, era sempre il primo quando si trattava di fare qualcosa di fuori del comune.
Kansuke era riconosciuto come il più coraggioso pescatore di Nanao, primo in tutto da quando la maggior parte della gente ricordava, e il figlio fedele e devoto lo seguiva da quando aveva dodici anni in tutti i pericoli, tanto che nessuno si stupì nel vedere la loro barca salpare da sola.
Prima andarono fino ai fondali di tai e li pescarono per tutta la notte. Verso l’alba un’altra tempesta apparve all’orizzonte. Kansuke salpò l’ancora e si diresse verso casa, sperando di riprendersi una fila di circa duecento ami che aveva fatto cadere fuori bordo vicino all’isola rocciosa durante il viaggio di andata. Aveva raggiunto l’isola e tirato a bordo quasi tutta la lenza, quando il mare si sollevò e fece perdere l’equilibrio a Kansuke, che cadde fuori bordo.
In circostanze normali per il vecchio non sarebbe stato difficile arrampicarsi di nuovo sulla barca. Ma in quella circostanza la sua testa non ricomparì sull’acqua, e il figlio si tuffò per salvare il padre. L’acqua quasi lo accecò a causa dei raggi brillanti che la attraversavano. Non riusciva a vedere traccia del padre, ma sentiva che non poteva abbandonarlo. Dato che i raggi misteriosi provenienti dal fondo potevano avere qualcosa a che fare con l’incidente, si preparò a seguirli: “Devono essere il riflesso dell’occhio di un mostro”, pensava.
Era stato un tuffo in profondità, e per molti minuti Matakichi rimase sott’acqua. Alla fine raggiunse il fondo e qui trovò una enorme colonia di awabi (orecchie di mare). Ricoprivano uno spazio di almeno 60 metri quadrati e al centro ce n’era una di dimensioni gigantesche, come non ne aveva mai nemmeno sentito parlare. Dai fori in cima fuoriuscivano i raggi brillanti che illuminavano il mare, che a quanto dicono le tuffatrici giapponesi sono di colore diverso per indicare la presenza di una perla. La perla in questa conchiglia, pensò Matakichi, deve essere enorme, grande quanto la testa di un bambino. Poteva vedere che la luce usciva da tutte le conchiglie di awabi sul fondale, il che significava che contenevano perle, ma a parte questo, dovunque guardasse, Matakichi non riusciva a vedere traccia del padre. Pensò che fosse affogato, e se era così, la cosa migliore per lui sarebbe stata tornare alla superficie e rifugiarsi al villaggio per riferire la morte del padre insieme alla sua straordinaria scoperta, che sarebbe stata preziosa per la gente di Nanao. Dopo aver raggiunto la superficie con molte difficoltà, scoprì con terrore che la barca era stata fatta a pezzi dal mare, che ora era diventato grosso. Tuttavia Matakichi vide alcuni rottami galleggianti e li afferrò, e da quel bravo nuotatore che era, aiutato dal mare, dal vento e dalla corrente, nemmeno mezz’ora dopo aveva raggiunto la riva e raccontava ai paesani le avventure della giornata, le sue scoperte e la perdita dell’amato padre.

I pescatori stentavano a credere alle notizie che aveva portato, secondo cui la luce soprannaturale era provocata da una colonia di awabi, perché i pregiati awabi erano una grande rarità nel loro distretto; ma Matakichi era un giovane della massima affidabilità, per cui anche i più scettici alla fine gli credettero, e se non fosse stato per la perdita di Kansuke, quella sera al villaggio ci sarebbe stata grande festa.
Dopo aver riferito le notizie ai compaesani, Matakichi si recò alla casa del vecchio sacerdote all’estremità del villaggio e raccontò tutto anche a lui.
«E ora che il mio amato padre è morto», disse, «ti prego di accogliermi tra i tuoi discepoli, così che io possa pregare ogni giorno per lo spirito di mio padre».
Il vecchio sacerdote accolse la richiesta di Matakichi e disse:
«Non solo sarò lieto di avere come discepolo un giovane così coraggioso e pieno di amore filiale, ma pregherò io stesso per lo spirito di tuo padre e il ventunesimo giorno dalla sua morte prenderemo le barche e andremo a pregare sul punto in cui è annegato».
Come d’accordo, il mattino del ventunesimo giorno dopo che il povero Kansuke era annegato, suo figlio e il sacerdote si ancorarono sul punto dove era morto e pregarono per il suo spirito.
Quella stessa notte il sacerdote si svegliò a mezzanotte, si sentiva malato e debole e si preoccupava per le anime del suo gregge.
Improvvisamente vide in piedi vicino al letto un vecchio che, inchinandosi gentilmente, disse:
«Sono lo spirito della grande awabi che si trova in fondo al mare vicino all’isola rocciosa. Sono vecchio più di 1000 anni. Qualche giorno fa un pescatore è caduto in mare dalla barca, e io l’ho ucciso e mangiato. Questa mattina ho uditol a devota preghiera tua e del figlio dell’uomo che ho mangiato sul luogo dove io mi trovo. Le tue sacre preghiere mi hanno fatto vergognare e mi dispiace per quello che ho fatto. Per riparare in qualche modo ho ordinato a quelli del mio seguito di disperdersi e ho deciso di uccidermi, cosicché le perle che sono nelle nostre conchiglie possano essere date a Matakichi, il figlio dell’uomo che ho mangiato. Tutto ciò che ti chiedo in cambio è che tu preghi per la salvezza del mio spirito. Addio!»
Detto questo, lo spirito dell’awabi scomparve. Il mattino successivo, molto presto, quando Matakichi aprì i pannelli della casa per spazzare la polvere davanti alla porta, vi trovò quello che a prima vista sembrava essere un grande scoglio coperto di alghe e anche di corallo rosa. Esaminandolo più da vicino Matakichi scoprì che era quella immensa awabi che aveva visto in fondo al mare al largo dell’isola rocciosa. Corse al tempio per dirlo al sacerdoti, il quale gli raccontò della visita che aveva ricevuto durante la notte.
La conchiglia e il corpo contenuto in essa furono trasportati al tempio con la massima venerazione e tutto il cerimoniale. Furono recitate preghiere e, mentre la conchiglia e l’immensa perla furono portate nel tempio, il corpo fu seppellito in una tomba vicino a quella di Kansuke, su di essa fu eretto un monumento e un altro fu eretto sulla tomba di Kansuke. Matachiki cambiò il nome in quello di Nichige e visse felicemente.
Da allora non ci sono più state awabi vicino a Nanao, ma sull’isola rocciosa sorge un tempio dedicato allo spirito dell’awabi
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