Sicilia, ogni angolo un paesaggio: chi la visita ha quasi l’impressione di trovarsi in tanti posti diversi. In questo modo può scoprire la sabbia scura del catanese con il suo vulcano l’Etna, il barocco palermitano, la natura quasi selvaggia del trapanese e così via dicendo. In un contesto così florido e felice, la saggezza popolare e anche le dicerie hanno portato nel tempo alla nascita di leggende e racconti che si tramandano di generazione in generazione e che a noi piace molto ricordare, anche perchè portiamo nel cuore questo tratto di Italia:
Il cavallo del vescovo di Catania
Racconta questa leggenda che il crudele imperatore svevo Enrico VI, che regno’ in Sicilia dal 1194 al 1197, impose in Sicilia vescovi e dignitari a lui fedeli, e suoi degni rappresentanti anche quanto a ferocia.
Uno di questi crudeli funzionari imperiali era il vescovo di Catania, il quale una volta affido’ il suo cavallo piu’ bello auno scudiero e a due palafrenieri, per portarlo a passeggio sulle balze dell’etna.
Il cavallo a un certo punto, si imbizzarrì, e comincio a correre verso la cima del vulcano; soltanto lo scudiero lo seguì, perche’ i due palafrenieri, stanchi della corsa, preferirono ritornare a Catania .
Il crudele vescovo svevo li fece immediatamente decapitare.
Lo scudiero seguì il cavallo del vescovo fin sulla vetta dell’Etna; ma, arrivato sull’orlo del cratere centrale, il cavallo
diede un balzo, e vi sparì dentro.
Il povero scudiero si mise a piangere, non vedendo piu’ il suo bel cavallo, e pensando a quale sorte lo aspettava se fosse tornato a mani vuote dal suo inesorabile signore; quando improvvisamente vide accanto a se’ un vecchio, dalla solenne barba bianca, che gli disse: <<Io so perche’ tu piangi; vieni con me, e ti mostrero’ dov’e’ il cavallo del vescovo di Catania>>.
E, rinfrancatolo e presolo per mano, lo condusse per un passaggio misterioso, attraverso il fumo del vulcano, dentro una sala meravigliosa, piena di cristalli e di lampadari scintillanti, dove c’era un trono tutto d’oro, e sul trono c’era re Artu’ (che secondo una leggenda inglese vive ancora sull’Etna).
Il re gli disse che sapeva tutto di lui e del crudele vescovo di Catania, e gli mostro’, in fondo alla sala, il cavallo che egli cercava, ed aggiunse:<<Torna dal tuo vescovo, e digli che sei stato alla corte di re Artu’; e digli anche che la sua crudelta’ e la sua prepotenza, in cui egli e’ degno rappresentante del suo imperatore Enrico VI, hanno stancato persino la pazienza di Dio, che presto lo punirà per mio mezzo; e digli infine che se vuole cavallo, deve venire a riprenderselo lui stesso, salendo a piedi fin qui ; ma se non verra’ entro quattordici giorni, al quindicesimo giorno egli morira’>>.
E detto questo lo congedo’, dopo avergli regalato un ricco mantello e una borsa piena di denari.
Lo scudiero, improvvisamente, si ritrovo’ sull’orlo del cratere, e avrebbe veramente creduto di aver sognato, se non avesse avuto il ricco mantello sulle spalle, e la borsa piena di denari nelle mani. Ritorno’ a Catania, ma il crudele vescovo non gli credette, anzi sostenne che lo scudiero aveva venduto il cavallo, e che i doni di re Artu’ erano tutto una menzogna; ma, colpito dall’accento di verita’ del suo sevo, non ordino’ di decapitarlo, come avevafatto con i palafrenieri, e lo fece imprigionare.
Per 14 giorni, lo faceva venire dinanzi a se’ e lo interrogava, e lo scudiero raccontava sempre la stessa storia di re Artu’; il vescovo non voleva umiliarsi e riconoscere le sue colpe, e mandava sempre gente sull’Etna a cercare il suo cavallo, e la gente non tornava piu’.
Così si ando’ avanti per 14 giorni; all’alba del 15° giorno il vescovo, esasperato, si fece venire davanti l’intrepido scudiero.<<Tu sei uno stregone>> lo investì ,<<tu ti sei divertito a fare scomparire non solo il mio cavallo, ma anche i miei cavalieri e le mie guardie.
E io ti daro’ ora il premio che si conviene agli stregoni come te: non la forca o la decapitazione, ma il rogo.
Orsu’, guardie, prendetelo e bruciatelo vivo!>>.
Nel dir così si alzo in piedi, ma strabuzzo’ gli occhi, diede una giravolta, e cadde morto stecchito.
La profezia di re Artu’ si era avverata, e il crudele vescovo aveva terminato per sempre di tormentare i catanesi.
Ed anche sul feroce imperatore Enrico VI di Svevia si abbatteva inesorabile la vendetta divina, perche’ moriva appena trentaduenne a Messina, il 25 settembre 1197, ed e’ sepolto nel duomo di Palermo, assieme alla consorte Costanza d’Altavilla e al grande figlio Federico II di Svevia.
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