Chiude le celebrazioni del IV centenario della morte di Caravaggio, ma la rassegna a Palazzo Venezia non espone i capolavori assoluti del Merisi, bensi’ mette a fuoco i suoi ancora poco conosciuti processi creativi. Tra specchi e camere ottiche, attraverso una puntuale ricostruzione della bottega del genio lombardo (basata sulle piu’ recenti scoperte documentarie), la mostra indaga gli ipotetici artifici cui Caravaggio fece ricorso per i suoi dipinti rivoluzionari, scanditi dalla luce. La bottega del genio e’ ”una mostra molto particolare”, ha detto la soprintendente del Polo museale romano Rossella Vodret, che si avvale delle importanti ricerche compiute in questo anno caravaggesco e le mette in pratica per offrire l’opportunita’ di ulteriori dibattiti e confronti tra studiosi.
L’approccio sperimentale
”Abbiamo scelto un approccio sperimentale e didattico”, ha proseguito la studiosa che ha ideato con Claudio Falcucci questa iniziativa spettacolare, con incredibili ricostruzione in vetroresina dei piu’ celebrati capolavori di Caravaggio, dalla Canestra di frutta al San Girolamo scrivente, dal Bacchino malato alla Medusa. ”Siamo partiti dall’inventario delle misere proprieta’ del Merisi, stilato da un ufficiale giudiziario quando venne denunciato per morosita’ – spiega Falcucci – Era il 1605 e tra le sue povere cose figurano pero’ ben due specchi, di cui uno di grandi dimensioni”, spiegabili solo con l’uso di tecniche particolari di pittura“.
Le camere ottiche
Da decenni, gli storici si interrogano infatti sui processi creativi messi in atto dall’artista lombardo, valutando la possibilita’ che avesse potuto adottare quelle complesse camere ottiche, utilizzate nel ‘500 solo dagli uomini di scienza. Il percorso espositivo illustra dunque tre ipotesi, che partendo dalla celeberrima Canestra dell’Ambrosiana, fa vedere come il ricorso a lenti, fori stenopeici e specchi di proiezione non fu forse la vera scelta di Caravaggio (l’immagine risultava sempre rovesciata e sfocata). Il quale, invece, mise a punto un marchingegno molto piu’ semplice ed efficace. Dall’unica finestra della sua bottega, il Caravaggio faceva uscire un fascio di luce, che potenziava grazie a uno specchio, illuminando cosi’ la scena. Invece, lo specchio piano, come quello rinvenuto nell’inventario del 1605, diventava il piano di riflessione per i modelli. Una soluzione che spiegherebbe anche la scarsa abitudine al disegno di Caravaggio